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La notizia è che qui si assume. E che quando una società va a caccia di senior cerca trentenni brillanti, non professionisti paludati. Il mondo della consulenza continua a investire sui talenti: è vero che la luce in fondo al tunnel è ancora molto fioca, ma la ripresa prima o poi arriverà e chi ha come asset principale le persone deve prepararsi fin da ora. Peraltro le aziende, che siano in difficoltà o abbiano trovato opportunità di crescita su nuovi mercati, in questo momento hanno bisogno più che mai di aiuto per aumentare l’efficienza, migliorare le performance e in alcuni casi contenere i costi e ristrutturare il debito. «È vero che la crisi ha portato in alcuni casi a una riduzione dei budget dedicati alla consulenza, ma non è una tendenza generalizzata», conferma Giovanni Cagnoli, ceo e co-fondatore di Bain and company Italy (350 consulenti all’attivo), che nel settore lavora da una trentina d’anni. «Anzi, su alcuni temi e tipologie di progetto registriamo un aumento dell’attività».
Domanda. Per esempio? Che cosa vi chiedono le imprese in questa fase?
Risposta. In Italia, per quanto riguarda l’industria, soprattutto interventi di riduzione strutturale dei costi e revisione dei processi. Si sono invece enormemente ridotti le due diligence e i progetti di ampio respiro strategico.
D. Con quale impatto sul vostro giro d’affari?
R. Un calo contenuto, a una sola cifra. Anche perché ci sono settori che proprio in questo momento hanno bisogno di risorse straordinarie per far fronte a esigenze particolari: le utility, per esempio, devono gestire l’evoluzione dello scenario regolatorio e le novità che riguardano i mercati del gas, mentre le istituzioni finanziarie hanno un notevole aumento del lavoro in tema di gestione del rischio e della liquidità. Il lusso fa storia a sé: esporta molto e non risente granché della recessione europea, quindi continua a chiederci strategie di crescita all’estero. In altri casi, poi, le aziende hanno bisogno di aiuto per ottimizzare i processi in modo da tenere il passo con mutamenti strutturali del modello di business.
D. A quali settori pensa?
R. Quelli in cui oggi, oltre al prodotto, i consumatori chiedono una forte componente di servizio. Un caso eclatante è quello dell’automotive. Negli Usa la percentuale di vetture vendute con contratti che comprendono anche manutenzione, finanziamenti, assicurazioni, eccetera è ormai vicina al 100%, e in Europa sta crescendo. Questo determina cambiamenti notevoli per i produttori.
D. Adeguarsi richiederà però qualche investimento…
R. Certo. Chiariamo: gli investimenti in questa fase sono molto compressi e selettivi, ma ci sono. Le aziende sane hanno sempre bisogno di fare innovazione, di rinnovare prodotti e servizi. Anche perché dall’anno prossimo, sia pure con lentezza esasperante, la caduta del pil si arresterà. E poi tenga conto che noi lavoriamo anche all’estero, e lì il quadro è molto diverso.
D. Cioè?
R. Nell’Est Europa, nell’area mediterranea (Turchia ed Egitto) e in Sudamerica, dove Bain Italy segue progetti per società locali o aziende italiane attive su quei mercati, la crescita è tumultuosa e c’è la possibilità di guadagnare quote di mercato. Quindi l’attenzione ai costi rimane un aspetto secondario.
D. Tirate le somme, la consulenza sembra a malapena scalfita dalla crisi. Tanto che voi non avete mai smesso di assumere.
R. Certo: abbiamo un turnover fisiologico e le persone che escono vengono rimpiazzate da nuovi assunti. Quest’anno sono entrate una sessantina di persone. Quanto ai profili, il nostro lavoro è adattarci alle esigenze dei clienti, e ultimamente abbiamo notato che ci chiedono maggiore esperienza e seniority. Per questo, a poco a poco, stiamo spostando il focus dai neolaureati ventenni a consulenti con quattro-cinque anni di lavoro alle spalle e una buona conoscenza di almeno un settore. Per noi si tratta di un cambiamento radicale, ma intendiamoci: parliamo di persone che hanno dai 28 ai 32 anni, non di più. Nella loro formazione investiamo molto e ci vuole tempo: chi entra oggi sarà un consulente completo e autonomo tra il 2015 e il 2018.
D. Se a quel punto vanno a lavorare altrove è una grossa perdita. Come fate a trattenere i talenti?
R. Da noi si fa carriera sulla base del merito. Le possibilità di crescere e di ottenere incrementi salariali importanti sono fortemente differenziate tra chi è più bravo e chi lo è meno. Quindi chi è bravo e vuole davvero fare questo lavoro ha tutti gli stimoli per restare: vede davanti a sé prospettive di crescita, segue progetti interessanti e guadagna bene. A volte però entrano in campo esigenze personali o la voglia di fare il salto dalla consulenza all’azienda.
D. Che caratteristiche ha il candidato ideale?
R. Per prima cosa deve desiderare esperienze e sfide sempre diverse, accettare uno stile di vita impegnativo e non essere in cerca di un ruolo operativo. Poi ne valutiamo il potenziale, che misuriamo su tre assi: la capacità analitica, cioè la rapidità e precisione nell’analizzare i problemi, quella relazionale, perché una volta capito il problema bisogna saperlo illustrare al cliente in modo corretto ed efficace, e quella di leadership, ovvero l’attitudine a portare avanti le proprie idee, sostenerle e argomentarle anche in contesti complessi. Quanto ai percorsi di studio, i bacini di provenienza prevalenti sono economia e ingegneria gestionale. L’inglese è un prerequisito essenziale.
D. Di recente avete presentato Agenda Bain per i giovani, un’indagine sul rapporto tra gli under 30 e il mercato del lavoro. Che cosa è emerso?
R. I mille ragazzi intervistati, tutti studenti o laureati con un percorso di eccellenza, non hanno alcuna fiducia nella capacità di istituzioni e università di aiutarli a trovare un’occupazione. Ma l’aspetto più rilevante è un altro: non sono affatto interessati al posto fisso. Quello che cercano è l’opportunità di imparare e di crescere, la soddisfazione lavorativa ed economica.